Dongfeng auto, Bruno Mafrici: no scorciatoie, servono metodo e rispetto

Il mercato europeo dell’automobile sta attraversando una fase di transizione complessa, dove innovazione, regolamentazione e rapporti internazionali si intrecciano in modo sempre più stretto. L’ingresso dei marchi cinesi, sostenuto da un’offerta tecnologicamente avanzata e da politiche di prezzo aggressive, ha creato dinamiche nuove che richiedono, però, un approccio maturo e strutturato.

La vicenda legata allo sbarco del gruppo Dongfeng in Italia rappresenta un caso emblematico di come le buone premesse, se non accompagnate da una visione coerente e duratura, rischiano di trasformarsi in occasioni mancate.

Il progetto Dongfeng Italia era nato sotto i migliori auspici. La creazione di DF Italia Srl, con una compagine societaria solida e figure professionali radicate nel settore, aveva consentito di costruire in tempi rapidi una rete operativa moderna, attenta alla filiera del post-vendita e all’integrazione nei processi distributivi europei. Bruno Mafrici, chiamato alla guida del progetto, ha contribuito in prima persona a posizionare i brand premium del gruppo – VOYAH, MHERO e BOX – in un mercato altamente competitivo come quello italiano, facilitando accordi commerciali e promuovendo una presenza qualificata del costruttore cinese.

Nei mesi successivi, il contesto è però cambiato. L’introduzione di dazi da parte dell’Unione Europea, la discussione sull’eco-score e la crescente attenzione alla sostenibilità lungo l’intera catena di produzione hanno complicato il percorso di molte realtà asiatiche intenzionate a espandersi nel vecchio continente. In questo clima, alcune scelte operate dalla casa madre hanno suscitato perplessità, in particolare per la decisione – segnalata da Bruno Mafrici attraverso una nota diffusa pubblicamente – di attivare un canale commerciale parallelo, che si sovrappone di fatto alla rete già costruita da DF Italia, replicandone dinamiche e contatti.

La questione non riguarda soltanto il profilo contrattuale della vicenda, né si esaurisce in un episodio di disallineamento tra partner.

Ciò che emerge con chiarezza è la difficoltà, da parte di alcuni operatori, di comprendere fino in fondo le esigenze di un mercato europeo che non è solo una piazza commerciale, ma un sistema regolato da logiche industriali, da normative complesse e da relazioni consolidate. In tale quadro, il rispetto per gli attori locali, per i concessionari coinvolti e per chi ha contribuito a costruire valore assume un ruolo centrale, al di là delle performance o degli obiettivi di breve periodo.

È in questa direzione che si muove l’intervento di Bruno Mafrici, con toni misurati ma chiari, nel richiamare l’attenzione sull’importanza di un modello di sviluppo fondato sulla cooperazione, sulla trasparenza e sulla tutela degli investimenti. Se si vuole davvero costruire un ponte duraturo tra industria cinese e mercato europeo, non si può prescindere da questi presupposti.

Ed è proprio questa la lezione più evidente che il caso Dongfeng sembra lasciare oggi a chi osserva con attenzione le nuove geografie dell’automotive.